Rafael Nadal, un anno dopo l’addio: “Ho finito senza più nulla nel serbatoio. La magia del tennis non si sostituisce”
2 commenti
È passato ufficialmente un anno da quando Rafa Nadal ha appeso la racchetta al chiodo dopo l’ultima apparizione alla Coppa Davis di Malaga. Dodici mesi che hanno reso reale una transizione epocale: l’uscita di scena del maiorchino ha segnato il distacco definitivo da un’era irripetibile, quella del Big 3, mentre Novak Djokovic continua a resistere nel tour.
Ospite del programma di Movistar+ Universo Valdano, Nadal ha ripercorso con lucidità e serenità il suo rapporto attuale con il tennis, i motivi del ritiro e il senso del suo lascito sportivo.
“Gioco solo quando non devo correre. Il tennis oggi lo guardo a modo mio”
Nadal ha spiegato come viva oggi il tennis da spettatore e da uomo d’accademia:
“Ho giocato 45 minuti con Eala, mi hanno chiesto di scendere in campo e l’ho fatto volentieri. Se non devo correre, va bene. Con l’accademia sono ancora coinvolto, ma non seguo il tennis giorno per giorno come prima. Oggi guardo solo ciò che mi va di guardare.”
L’adrenalina del circuito: “Non è rimpiazzabile”
Uno dei passaggi più intensi riguarda la fine della pressione quotidiana e, allo stesso tempo, la perdita di un’emozione unica:
“Ho guadagnato tranquillità, perché non senti più la responsabilità di dover rendere ogni singolo giorno, anche in condizioni non adatte. A livello umano questo logora. Ma è finita una tappa eccezionale della mia vita.
Quella adrenalina… sono cose che non ritrovi altrove.”
Secondo Nadal, la vita offre molte alternative alla competizione, ma nessuna replica la sensazione di “giocare per qualcosa di grande”.
“Il serbatoio era vuoto. Mi sono ritirato perché il corpo non rispondeva più”
Sul ritiro, Nadal è chiaro:
“Bisogna rispettare il cambiamento. Ho tirato fino all’ultimo, fino alle possibilità reali che avevo di competere al livello che volevo. Questo mi ha dato la tranquillità di chiudere in pace, convinto che non c’era più niente da fare. Il serbatoio era vuoto.”
Non si è ritirato per mancanza di motivazione:
“Mi piaceva ciò che facevo. Non mi sono ritirato perché ero stanco o senza stimoli, ma perché il corpo non ce la faceva più. Potevo competere, sì, ma non al livello che serviva.”
“Nessun rimpianto. Ho portato la mia carriera al limite”
Nadal non prova alcuna amarezza per la fase finale, a tratti tormentata:
“C’è chi pensava dovessi lasciare prima. Per me non aveva senso. Ho agito secondo ciò che ero. Ho apurato ogni possibilità, perché mi piaceva quello che facevo. Non conservo alcun ricordo negativo.”
Il maiorchino sottolinea che, dopo un intervento, gli era stato detto che forse avrebbe recuperato completamente: “Dovevo darmi un tempo per capirlo. Poi ho capito che non potevo tornare al livello necessario.”
Lavoro o talento? “Il talento da solo non basta”
Nadal approfondisce uno dei temi che gli stanno più a cuore:
“Puoi avere il maggiore talento del mondo, ma servono lavoro, disciplina e concentrazione. Il talento è ciò che ti dà l’extra, ma senza lavoro è impossibile superare le difficoltà.”
E rifiuta il mito dei “grandi sacrifici”:
“I sacrifici sono fare cose che non vuoi fare. Io ho fatto molti sforzi, ma sacrifici pochi. Ho sempre goduto del mio percorso. Non ho perso la mia infanzia, non ho rinunciato alla mia vita.”
Successo e maturità: “Ero pronto quando è arrivato”
Sull’esplosione mediatica dopo la Davis 2004, Nadal racconta:
“Tutto era nuovo, ma non ho mai perso il focus su chi ero. Il successo è arrivato in fasi diverse della mia vita, e quando è arrivato quello grande ero pronto.”
Un ruolo chiave lo riconosce allo zio Toni:
“Mi ha insegnato l’intensità, la disciplina, l’attenzione. Sono sempre stato il più autcritico. Potevi avere grande fisico e grande lavoro, ma se il diritto non va dove deve, non basta.”
Mentalità da campione: “Non credevo sempre di poter vincere, ma non smettevo mai di provarci”
Nadal chiarisce uno dei miti più diffusi:
“La gente pensa che io credessi sempre di poter vincere. Non è così. Sapevo che stavo perdendo e che probabilmente avrei perso. Ma non smettevo di provarci. Cercavo soluzioni permanenti.”
Per lui, il vero punto nodale era uscire dal campo senza rimpianti: “La cosa che avrei tollerato meno era tornare a casa sapendo di non aver dato tutto.”
Le rivalità: i Big 3 e i nuovi Sinner–Alcaraz
Nadal offre una riflessione unica su 20 anni di duelli con Federer e Djokovic:
“Il positivo della nostra epoca è che abbiamo chiuso le carriere potendo andare a cena insieme. La rivalità è rimasta in campo. È un lascito importante: dimostrare che si può essere rivali feroci senza odiare l’altro.”
Un’eredità che, secondo Nadal, si riflette sugli attuali protagonisti:
“Sinner e Alcaraz vogliono fare le cose bene, ma credo che noi abbiamo contribuito a mostrare che si può competere al massimo mantenendo rapporti di rispetto.”
Roland Garros, il suo regno: “Una storia irripetibile”
Parlando di Parigi, Nadal resta consapevole dell’unicità di quel capitolo:
“Dal 2005 alla mia uscita, si è costruita una storia che è il mio record più importante. Si devono allineare tante cose, e con me si sono allineate.”
Superstizioni, routine e concentrazione
Nadal smentisce definitivamente la sua fama di superstizioso:
“Fuori dal tennis non ho nessun rituale. In campo sì, perché ne avevo bisogno. Mi aiutavano a non perdere il focus.”
I Big 3 e l’evoluzione del tennis: “La nostra grandezza è stata non avere margine per rilassarci”
Nadal analizza l’ascesa della sua generazione:
“Venivamo dopo Sampras e i suoi 14 Slam. Era umano pensare che quello fosse un limite. Ma eravamo in tre, non in due. Non c’era margine per rilassarsi. La richiesta era massima.”
Sul tennis moderno:
“Si gioca più forte e si serve più forte. Ma continuo a credere nell’intuizione. Non voglio giocare come un robot guidato dalle statistiche. Anche Federer la pensava così.”
Un anno dopo: Nadal guarda avanti, ma resta parte della sua storia
A dodici mesi dal ritiro, Nadal mostra equilibrio, serenità e consapevolezza. Non nostalgia, ma gratitudine.
Il corpo ha detto basta, ma l’eredità — sportiva, mentale e umana — resta intatta.
E l’ex campione sa ancora trovare, nelle sue parole, lo spirito che lo ha reso una leggenda.
Francesco Paolo Villarico
TAG: Rafael Nadal

Sinner
Alcaraz
Zverev
Djokovic
Auger-Aliassime
Fritz
de Minaur
Draper
Sabalenka
Swiatek
Rybakina
Andreeva
2 commenti
Sempre intelligentissimo. Mai rosicone.
Credo che potrebbe essere un grandissimo super-coach, tipo Cahill, ma non credo che abbia più voglia di fare il giramondo…
Hola!