Andy Murray racconta l’esperienza con Djokovic: “Intensa, difficile, ma incredibile”
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È durata poco, ma è stata intensa. La collaborazione professionale tra Novak Djokovic e Andy Murray è stata una delle immagini più sorprendenti del 2025: due rivali storici, con oltre vent’anni di battaglie alle spalle, improvvisamente uniti nello stesso angolo, con un obiettivo comune. Un’esperienza affascinante quanto effimera, che però non ha prodotto i risultati sperati.
L’avventura era iniziata nel migliore dei modi. Con Murray nel suo angolo, Djokovic disputò un grande Australian Open, eliminando Carlos Alcaraz ai quarti e raggiungendo le semifinali, dove però fu costretto al ritiro contro Alexander Zverev a causa di un infortunio al tendine del ginocchio. Da quel momento, il progetto tecnico si incrinò. A parte la finale raggiunta al Miami Open, i risultati non arrivarono e l’esperienza di Murray nel box del serbo terminò poco prima di Roland Garros.
A distanza di sette mesi, Murray ha raccontato quella breve ma travolgente parentesi ai microfoni di The Tennis Podcast, rivelando retroscena inediti sulla complessità di allenare uno dei tennisti più esigenti della storia.
«Djokovic, come me, è una personalità difficile da affrontare. Il suo tennis è estremamente impegnativo e io ero entusiasta della sfida. Guardando indietro, è stata un’esperienza incredibile. In Australia stava giocando un tennis straordinario, poi la lesione ha rovinato tutto», ha dichiarato lo scozzese, sottolineando come l’infortunio abbia pesato non solo sul serbo, ma sull’intero team.
Murray ha spiegato che il lavoro con Djokovic lo ha costretto a ripensare completamente il suo modo di vivere il tennis e il coaching: «Ho imparato molto sull’essenza dell’allenare. Quando ti immergi totalmente in un progetto, scopri tanto su te stesso: punti di forza, debolezze, ciò su cui devi lavorare. Volevo che tutto fosse perfetto: dalle racchette alla prenotazione dei campi, dai video analizzati ai compagni di allenamento. Non perché Novak me lo avesse chiesto, ma perché sentivo che fosse il mio compito».
Lo scozzese ha anche raccontato il momento in cui Djokovic gli propose ufficialmente di unirsi al team: «Avevo programmato un viaggio sulla neve prima di accettare, e glielo dissi. Ma quella stessa sera, alle undici, ero davanti al computer a guardare e montare i suoi match in Australia per inviarglieli. Mi sono reso conto subito di quanto fosse totalizzante quel ruolo».
Un altro punto cruciale per Murray è l’importanza dell’energia psicologica che un allenatore deve trasmettere: «Un coach deve portare vibrazioni positive. Prima di una semifinale Slam, un giocatore non ha bisogno di panico o frenesia: ha bisogno di sentirsi sostenuto e creduto. Se tornerò ad allenare, lavorerò ancora di più su questo aspetto».
Infine, Murray ha ricordato con orgoglio il match in cui Djokovic superò Carlos Alcaraz ai quarti dell’Australian Open: «Avevo le idee chiare sulla strategia da seguire, ma c’è una grande differenza tra capirla e metterla in pratica. Solo pochissimi al mondo possono eseguire un piano tattico con quella precisione. Puoi dare la strategia migliore a un giocatore numero 50, ma contro Alcaraz non basta. Novak invece ha una qualità tale da trasformare una tattica in realtà».
Pur non avendo arricchito il palmarès di Djokovic né prolungato la sua fase dominante, Murray non si pente di aver accettato la sfida. «Sono felice di averlo fatto», conclude. «È stata un’esperienza che mi ha cambiato e che porterò con me se in futuro tornerò su una panchina».
Francesco Paolo Villarico
TAG: Andy Murray, Novak Djokovic

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