
Da campione del Roland Garros a navigatore solitario


Carlos Cuadrado, giovane promessa del tennis spagnolo costretto a un prematuro ritiro, ha saputo ridare un senso alla propria vita facendo il giro del mondo in barca a vela. Ce lo racconta nel suo libro Un rival impredecible
È risaputo che Toni Nadal, per mantenere i piedi di Rafa ben saldi a terra ed evitare che si montasse la testa per i suoi successi giovanili, gli mostrasse i ranking degli juniores del passato, per dimostrargli che pochi fra i migliori fossero poi riusciti a svettare nel circuito professionistico. Nell’Era Open solo cinque giocatori sono infatti stati i numeri uno in entrambe le categorie (Edberg, Lendl, Rios, Roddick e Federer) accompagnati da molti ottimi giocatori ma anche da altri che, dopo avere brillato fra gli under 18, sono poi solamente riusciti ad avere una carriera, spesso breve, da lavoratori della racchetta, come i nostri Trevisan o Quinzi. A questi si aggiungono nomi caduti nel dimenticatoio come, solo per citare un esempio, lo svedese Daniel Berta, numero 1 del mondo e campione del Roland Garros junior nel 2009, poi ritiratosi dopo un paio di stagioni infruttuose fra i pro. Proprio scorrendo il palmarès dello slam parigino troviamo, nel 2001, il nome dell’ultimo spagnolo che vinse il torneo, Carlos Cuadrado, barcellonese classe 1983 e parte di un’ottima nidiata di giocatori come Ferrer, Verdasco, López o Robredo, immediati precursori dell’era Nadal.
Carlos è molto promettente e determinatissimo nel voler fare del tennis il proprio lavoro, il che pare la logica conseguenza del livello raggiunto nella sua tappa giovanile, che culmina appunto con il trionfo sui mitici campi del Bois de Boulogne. Il passaggio al professionismo pare avvenire senza particolari scossoni, tanto che a 18 anni vince un torneo ITF in Germania (l’unico nella sua bacheca), ma questa progressione apparentemente placida viene interrotta dal nemico più subdolo per uno sportivo: le lesioni. Un’indubbia predisposizione genetica viene molto probabilmente aggravata, quando il suo corpo è ancora in fase di sviluppo, da un eccessivo carico di lavoro, sulla base dell’assioma paterno per cui “se ti alleni più degli altri sarai il più forte di tutti”. Prima le ginocchia, poi soprattutto le anche, lo costringono a una montagna russa di stop, interventi chirurgici, riabilitazioni, ritorni effimeri e ricadute finché, a soli 25 anni, è costretto a smettere. Lo fa dopo essersi dovuto ritirare nelle qualificazioni di un Futures a Murcia dove chissà…. forse sugli spalti quel giorno a guardarlo c’era un piccolo grande murciano, anche lui di nome Carlos (anzi Carlitos), che allora aveva 5 anni ma forse sognava già di diventare quel grande campione che è adesso.
Dopo una vita dedicata anima e corpo all’obiettivo di trionfare nel mondo del tennis, una rinuncia di questo tipo non è certo facile da assimilare. Carlos opta per un taglio netto e decide di andare in Australia dove trova lavoro come maestro, come coach (al fianco di Daniela Hantuchova Svetlana Kuznetsova o Anastasia Pavlyuchenkova) e come collaboratore della federazione di tennis locale. Però si sa che la distanza fisica non esiste per i fantasmi interni e il “lutto” dovuto alla perdita del sogno che era stato il motore della sua vita, ha bisogno di essere in qualche modo elaborato, per non rimanere una ferita aperta. E qui subentra il mare, un amore preesistente e trasmesso dal papà, che diviene ora passione viscerale e soprattutto cammino di ricerca di un nuovo senso per la propria vita. Carlos impara i rudimenti della navigazione per poi divenire, con la stessa dedizione profusa nella sua tappa come tennista, un esperto navigatore, tanto che invece di fare un mutuo per un appartamento si compra una barca a vela di 12 metri e, dopo una serie di prove generali su tragitti più brevi, decide di intraprendere nientemeno che il giro del mondo in solitario.
La sua parabola come tennista ed il resoconto del suo viaggio transoceanico sono narrati, a capitoli alterni, nel libro che ha da poco pubblicato, purtroppo per ora solo disponibile in spagnolo, intitolato Un rival impredecible (Plaza & Janés, 2025). Il suo viaggio, quello reale e quello interno, dura molto più del previsto, circa quattro anni, pieni di avventure incredibili (compreso un inseguimento da parte di un gruppo di pirati) e il contatto, in molti casi trasformatosi in vera amicizia, con popolazioni autoctone in isole sperdute e incontaminate. Durante il tragitto scoppia la pandemia del Coronavirus e questo naturalmente blocca, o perlomeno rallenta, anche il traffico marittimo. Il lockdown di Carlos è però assai più piacevole di quello di molti comuni mortali costretti fra le mura di un appartamento di pochi metri quadrati, con un’agognata ora d’aria alla settimana per fare la spesa al supermercato. Passa infatti il suo periodo di isolamento a Sant’Elena, nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, a metà strada fra Africa e America. L’isola, nota come il luogo dell’esilio e poi della morte di Napoleone dopo la sconfitta di Waterloo, è uno dei pochi posti al mondo dove non si registra neanche un caso di contagio quindi gli abitanti e chi, come Carlos, ci è capitato per caso, hanno la fortuna di potere vivere un “esilio dorato”, senza alcuna restrizione.
Un altro dei motivi che rallentò il suo giro del mondo è stato di tipo economico. Un’attraversata di questo genere costa un sacco di soldi e Carlos, quando il conto in banca comincia ad affievolirsi, è costretto a fermarsi per autofinaziarsi, trovando lavoro per esempio come capitano di navi per turisti, tecnico specializzato nella riparazione di imbarcazioni oppure, occupazione che sulla carta non sembra proprio niente male, collaboratore della federazione polinesiana di tennis.
Come ha detto in una recente intervista sul sito Navegantes oceánicos [https://navegantesoceanicos.com/] il suo viaggio è stato prima di tutto un percorso di conoscenza e di ricerca di se stesso: “La mia carriera come tennista è finita troppo presto, lasciandomi una ferita aperta e un vuoto difficile da riempire […] Fare il giro del mondo è stato per me molto più di un’impresa nautica. È stato un modo per riconciliarmi con chi sono stato e con chi sono […[ Il vero viaggio è stato dentro di me”. E l’approdo è stato, in un movimento circolare come la sua navigazione intorno al globo, il ritorno al tennis, ora integrato nella sua vita senza dolore né rancore, come coach e come rappresentate di tennisti australiani.
Se si hanno l’umiltà ed il coraggio di accettare quello che la vita ci dà e che non possiamo cambiare, il fallimento e la frustrazione cessano di essere tali. Lo dimostra la storia di Carlos Cuadrado, insieme a quelle di tante altre giovani promesse del tennis che non sono riuscite a coronare il loro sogno di diventare dei campioni, ma hanno saputo nel momento opportuno “cambiare rotta” e dare un nuovo senso al proprio viaggio.
Paolo Silvestri
TAG: Carlos Cuadrado, Paolo Silvestri, storie di tennis
2 commenti
Bellissima storia.
Il giro del mondo in solitario deve essere una esperienza incredibile.
Che bel racconto. Forse in Italia il libro non si trova ma ringrazio Silvestri per averlo scritto.