Notizie dal mondo ATP, Copertina, Generica

Del Potro, il più grande “e se…” del tennis moderno

16/12/2025 08:58 2 commenti
Juan Martin Del Potro nella foto - foto getty images
Juan Martin Del Potro nella foto - foto getty images

Juan Martín del Potro è stato l’ultima, grande stella del tennis argentino e sudamericano. Un campione capace di scrivere una delle pagine più memorabili della storia recente di questo sport, ma anche uno dei più grandi “e se…” del circuito moderno. A distanza di anni dal ritiro, l’ex numero 3 del mondo si è raccontato in una lunga intervista a ESPN, ripercorrendo senza filtri la sua carriera, le scelte forzate, le lesioni e quel sogno mai realizzato: diventare numero uno del mondo nel 2019.

Il trionfo del 2009 e una carriera destinata alla vetta
Il nome di Del Potro è indissolubilmente legato allo US Open 2009, vinto in una finale epica contro Roger Federer. Un successo che sembrava l’inizio di un’era: un gigante gentile, una delle migliori dritte mai viste e la sensazione che il suo posto fosse stabilmente tra i dominatori del circuito. Ma ginocchia e polsi avrebbero cambiato il corso della sua storia.
Ritiratosi nel 2022, Del Potro ha salutato definitivamente il pubblico con un’ultima esibizione nel 2024, accanto all’amico Novak Djokovic. Oggi, con la lucidità di chi ha metabolizzato il passato, guarda indietro con emozione ma anche con grande onestà.

Le infiltrazioni, le scelte e il prezzo da pagare
«Mi sono dovuto infiltrare molte volte. Tante», racconta. «Ginocchio, polso… al polso ho subito tre operazioni. Probabilmente anche per alcune decisioni sbagliate. La pressione ti porta a non fermarti mai: volevo restare top 5, top 3, non perdere ranking. Mi infiltravo. Era pane per oggi e fame per domani».
La vicenda del ginocchio, in particolare, segna il punto di non ritorno:
«Dopo la prima operazione non sono mai tornato bene. Con la seconda hanno provato a sistemare, poi è iniziata una catena di problemi che mi ha portato fuori dal campo e infine al ritiro. Gli infortuni fanno parte della vita di un atleta».

Il dolore che non se ne va (e ChatGPT)
Il rapporto con il dolore, soprattutto quello al polso, è ancora presente:
«A volte dico che sono stato sfortunato, ma in realtà sono stato il giocatore che sono stato anche per colpa delle lesioni. Fa parte del film, dei capitoli più drammatici. Oggi chiedo aiuto persino all’intelligenza artificiale. Parlo tanto con ChatGPT. Ho risonanze e radiografie di tutti i tipi. Arrivo in clinica e mi dicono: “Ancora tu? Non sappiamo più cosa fare”».
Parole che raccontano meglio di qualsiasi statistica quanto sia stato alto il prezzo pagato per restare al vertice.

Vincere uno Slam cambia tutto
Il ricordo dello US Open 2009 resta vivido: «Quando vinci uno Slam cambia tutto. Cambiano i contratti, gli impegni, le richieste. Mi emoziona ancora oggi. A volte riguardo l’ultimo game e penso: “Che finisca nello stesso modo”».
Del Potro rivive quel momento con lucidità: «Ero 5-2, se non avessi fatto il break avrei dovuto servire per chiudere contro Federer. Sarebbe stata una pressione forse ingestibile. Avevo messo tutto in quel momento: o era lì o niente. E per fortuna è andata così».
Un torneo che ancora oggi lo accompagna: «Quando torno a New York me lo ricordano in ogni corridoio. La gente è la stessa, si avvicina, parla. È stato speciale per me e per tutti. Era Federer. E non è mai più successo qualcosa di simile».

Il sogno del numero uno nel 2019
C’è però una ferita aperta, quella più grande: «Dopo la finale dello US Open 2018 ero numero 3 del mondo ed ero distrutto fisicamente. Eppure sono andato in Asia perché visualizzavo di diventare numero uno dopo l’Australian Open 2019. Avevo una possibilità matematica reale».
È lì che tutto cambia: «Cado, mi rompo il ginocchio, mi fermo. E da lì inizia l’incubo della gamba. Quello è stato l’inizio della fine».

“Il numero uno dei non numero uno”
Ripensando al livello del circuito nel 2009, Del Potro sorride amaramente:
«Era il mio sviluppo naturale. Nel 2008 vincevo tornei, entravo stabilmente in top 10. Nel 2009 ero consolidato, ma sempre lì: numero 5. Dico sempre che ero “il numero uno dei cattivi”, quello che non riusciva a rompere il muro».
Un muro fatto di Federer, Nadal, Djokovic, Murray. Eppure, Del Potro è stato una figura chiave tra la fine degli anni 2000 e l’inizio del decennio successivo. Un campione vero, con una carriera che lascia inevitabilmente una domanda sospesa: cosa sarebbe stato Juan Martín del Potro senza gli infortuni?
Forse un numero uno. Forse più Slam. Di certo, uno dei talenti più puri e rispettati che il tennis abbia conosciuto.



Francesco Paolo Villarico


TAG: ,

2 commenti

Di Passaggio 16-12-2025 10:15

A parità di condizioni la fortuna è decisiva. Lo dicevano gli antichi, l’ha ripetuto recentemente Woody Allen, con tutti gli ultimi film.

2
Replica | Quota | 0
Bisogna essere registrati per votare un commento!
Tommy ho (Guest) 16-12-2025 09:58

E pensare che tennisti come Rios ecc invece sono stati numero 1

1
Replica | Quota | 0
Bisogna essere registrati per votare un commento!
25 12:33 -->