
Bryan Shelton, coach e padre: “Con Ben abbiamo trovato un buon bilanciamento tra professione e vita privata. Studio i punti di forza di altri campioni per imparare da loro”


Il mondo del tennis purtroppo è pieno di storie familiari “malate”, genitori che diventano coach dei loro figli e non riescono a gestire i due ambiti in modo sano, arrivando ad eccessi che nuocciono non solo alla carriera del giovane ma anche a quella privata. Di tutt’altro tenore è il rapporto tra Ben e Bryan Shelton, una delle “super-coppie” del tour. Papà Bryan prima di accettare il ruolo di coach del figlio ha vissuto importantissime annate da capo allenatore della University of Florida, dove è diventato uno dei coach più stimati a livello NCAA. Forte della sua esperienza da giocatore (arrivò al n.55 in classifica vincendo due titoli in singolare), papà Bryan ha parlato di come sia importante mantenere un corretto equilibrio tra lavoro e famiglia, per dare il massimo e non stressare oltremodo il figlio. I due lavorano insieme da oltre un anno, ed è bellissimo ammirare la soddisfazione di papà Bryan dopo un bel colpo del figlio, ma anche la calma e lo sguardo rassicurante nei momenti più difficili. Ben si fida ciecamente del padre, Bryan è guida solida. Un binomio che sta portando grandi soddisfazioni: il gioco del nativo di Atlanta sta migliorando progressivamente e i risultati parlano chiaro, come dimostra il recente successo al Masters 1000 canadese e il sesto posto nel ranking mondiale, con la quinta posizione di Draper in serio pericolo visto che il britannico ha in scadenza una cambiale molto pesante a US Open (semifinale). Questo il pensiero di Bryan Shelton, sulla gestione della vita da papà coach di uno dei talenti più interessanti e dirompenti del tennis attuale, nell’intervista concessa al sito ATP.
“Quando lavoravo come coach universitario ho vissuto un’esperienza completamente diversa da quella attuale” racconta Bryan. “Quando lavori all’interno di un programma non ti occupi soltanto dei giocatori. Devi gestire lo staff, i budget, una serie di aspetti organizzativi. Soprattutto il reclutamento richiede tantissimo tempo: ore e ore al telefono, viaggi continui per andare a vedere i ragazzi, incontri con le famiglie. Tutto questo rappresentava una parte enorme del lavoro.” Adesso l’attenzione è tutta su un solo obiettivo: Ben e il suo tennis. Bryan ha potuto dedicare più tempo allo sviluppo del giocatore, mettendo a frutto i principi maturati negli anni da coach universitario per supportare al meglio il suo allievo. “Abbiamo comunque bisogno di una squadra intorno a noi. Ci sono gli agenti che si occupano di gran parte della logistica, il preparatore atletico, il fisioterapista… insomma, tante figure che continuano a far parte del team. Il mio compito è guidare questo gruppo, fare in modo che tutti lavorino insieme e restino sempre sulla stessa lunghezza d’onda”.
Lavoro e famiglia: come conciliare i due aspetti, in uno sport che ti prende quasi H24, giorno dopo giorno? Questa la ricetta di Bryan: “Di solito, quando arriviamo al campo, è lì che inizia davvero la preparazione: prima dell’allenamento, prima del riscaldamento, prima della partita” spiega Shelton. “Ci sono momenti in cui indosso soltanto il cappello da coach, mentre quello da papà resta completamente da parte fino a quando la partita è finita e la giornata sui campi è chiusa. Poi saliamo in macchina per tornare a casa e non si parla più di tennis. Magari in hotel mi capita di rivedere qualche video o fare altro lavoro, ma per quanto riguarda il mio rapporto con Ben ci sono ore in cui sono solo papà e ore in cui sono soltanto allenatore. Abbiamo trovato un buon equilibrio, sappiamo quando accendere l’interruttore e quando spegnerlo. E poi è lui stesso a darmi i segnali quando non ha davvero voglia di parlare di tennis. Non è mai stato timido in questo”. Un rapporto quindi molto stretto e con Ben pronto a stoppare il padre quando sente che è il momento di staccare.
AROUND THE NET POST BANANA SHOT! 🍌
Ben Shelton has arrived to the US Open. pic.twitter.com/ce3qwuArRa
— US Open Tennis (@usopen) August 24, 2025
Bryan ripercorre la sua carriera da giocatore, sottolineando quel che gli è mancato per ottenere risultati migliori: “Ho sempre pensato che se fossi stato un giocatore più sicuro di me stesso avrei ottenuto risultati migliori. Il mio obiettivo era entrare tra i primi 50 al mondo. Non ci sono riuscito, anche se ci sono arrivato assai vicino. Credo che mi sia mancata un po’ di fiducia: fiducia nel lavoro che stavo facendo, fiducia nelle mie qualità atletiche e tecniche, nella possibilità di scendere in campo sui palcoscenici più importanti ed esprimere il mio miglior tennis. Non ho mai avuto davvero la sensazione di riuscire a farlo fino in fondo”.
Un filo di tristezza per quest’analisi molto onesta, che però oggi conferisce uno stimolo in più a guidare il figlio con la massima attenzione e trasmettere tutta la propria esperienza e fiducia nel processo e lavoro quotidiano. Il tutto guidato da un incredibile, profondo amore per il tennis. Non a caso Bryan Shelton ama definirsi una sorta di “tennis nerd”, curioso di capire perché certi giocatori abbiano successo e come trasferire quei principi ai propri allievi. Il lavoro da coach infatti secondo Bryan non è solo osservare il figlio e migliorarlo, ma anche guardarsi intorno per capire e possibilmente replicare quel che di buono gli altri fanno. “Ben è mancino, ed è stato divertente analizzare a fondo cosa abbia reso Nadal così speciale, non solo per il modo in cui si comportava in campo, ma anche per le sue tattiche, i suoi schemi di gioco, tutte quelle cose che lo rendevano un avversario durissimo da battere” racconta papa Shelton. “Cerco di aiutare Ben a comprendere alcuni aspetti che Rafa metteva in pratica, e che anche lui può provare a emulare. Poi basta guardare Jack Draper, un altro mancino che sta ottenendo ottimi risultati. Per me è stimolante immergermi non solo nelle statistiche e nelle analisi di Ben, ma anche nello studio di altri giocatori come Alcaraz o Sinner, per capire cosa li rende grandi e continuare a imparare lungo questo percorso”.
Secondo molti osservatori, Shelton è vero outsider di US Open, il terzo incomodo tra Sinner e Alcaraz. Ben ha già raggiunto una semifinale a New York nel 2023: allora fu una sorpresa, oggi è un obiettivo.
Marco Mazzoni
TAG: Ben Shelton, Bryan Shelton, Marco Mazzoni
6 commenti
Da tifoso della prima ora ricordo bene certi commenti sul padre accusato,”udite udite”,di sorridere.Lo si sbeffeggiavan,gli si auguravano sconfitte così da “ricacciare in gola il sorriso al padre” che,per inteso, è un rarissimo esempio di genitore/coach che non manda in tensione il figlio,che non lo esalta troppo nei momenti buoni e che ne contiene la delusione attraverso segnali positivi.
Ben non nasce come progetto tennistico,ha giocato a football fino a 12 anni,un percorso simile a quello di Sinner ma con poca attenzione all’aspetto tecnico (per meno talento sicuramente) dando spazio alla sua esuberanza fisica,un agonismo yankee( tipica dei match da College che non sono in climi silenti ma da arena), poca tattica e tutta potenza.
In sostanza sta facendo ora un lavoro che andava fatto anni fa ma mostra entusiasmo,un agonismo positivo.
È un personaggio che fa bene al tennis secondo me,diverso nel gioco,nel modo di essere,forse nel vivere questo sport.
Ciao, mi piace molto quello che hai scritto e anche a me Ben piace moltissimo, soprattutto negli ultimi tempi che ha lavorato tanto e è meno guascone rispetto a poco tempo fa.
Non sono tanto d accordo sul papà allenatore. Ovvio che è un mio pensiero ma se vuoi crescere, in generale nella vita, bisogna che abbandoni il nido e vedi le cose senza i salvagenti che una bella famiglia ti dà. Poi se il confronto è con Jannik e Carlos si apre un mondo, ma manco tanto a ben vedere.
Comunque, di nuovo, grazie. Daje Ben!!!
Bella famiglia , padre competente e molto sportivo.
Anche se è un ragazzo esuberante,classico americano, è un serio e grande lavoratore.
Come Draper fanno un tennis che piace senza il circo di Tiafoe o Kyrgios.
Shelton è il mio preferito tra gli ‘umani’.
Gli auguro una carriera alla Wavrinka con un paio di Slam se i due alieni rallentano.
Lo stimo perché sta lavorando sui suoi difetti e perché ha messo via le cialtronate come il telefono riattaccato in faccia agli avversari sconfitti.
Ha fatto in bel bagno di umiltà negli ultimi anni e sta cercando di dare ordine alla sua irruenza.
Infine: quello tra lui ed il padre mi pare (assieme ai Cobolli) uno dei dei pochi rapporti figlio genitore sani nel circuito.
Non l’ho mai visto in atteggiamenti esagerati o non corretti, così come la madre. Dal punto di vista tecnico il ragazzo migliora. Bravi
Fino ad un anno avrei detto che doveva affiancare il padre con un coach di esperienza, può far meglio Shelton, ha molte più qualità fisiche e tecniche di Fonseca, tanti per fare un esempio (fermo restando che il brasileiro ha talento ed è ancora nella fase dello sviluppo fisico), ma direi che il binomio con il padre, ed anche con la madre, che ormai la vedi sempre al suo fianco nel tour, funzioni alla grande.. a prima vista quando vedi il padre che sorride sempre e lo incoraggia, pensi sia solo un fan, poi capisci che non gli mette nessuna pressione e ne sa di tennis, perché è cresciuto tanto Ben quest’anno.. se non vince Sinner, io tifo per Shelton