
“La longevità di Djokovic? Un mix di geni e professionalità, ma gli consiglio di giocare un po’ di più”, parola dell’esperto Stephen Smith


È difficile trovare aggettivi adeguati a descrivere la classe, forza, determinazione e “durata” a livello altissimo della competitività di Novak Djokovic. Un atleta talmente straordinario che è stato persino studiato da esperti di preparazione e riabilitazione per cercare di carpirne i segreti. Secondo Stephen Smith, un vero esperto nella tutela degli atleti e prevenzione degli infortuni, “Nole” è una sorta di “unicorno”, qualcosa di unico grazie a dei geni che l’hanno sostenuto fin da piccolo, ma anche per la sua professionista assoluta nel prendersi cura del proprio corpo. Questo a suo dire i segreti di una carriera che a 38 anni non è ancora affatto terminata.
Smith, fondatore e CEO di Kitman Labs — azienda leader mondiale nella scienza dello sport e nell’analisi dei dati — è stato interpellato dal media di Londra tennis365 e ha espresso una interessante opinione sull’impatto che può avere l’approccio di Djokovic alla programmazione del calendario. Nei primi vent’anni della sua incredibile carriera (2003-2023), Djokovic è riuscito a mantenersi costantemente in buona salute, evitando in gran parte infortuni gravi. Unica eccezione l’infortunio al gomito, comparso nel 2016 e che ha richiesto un intervento chirurgico ad inizio 2018. Un problema importante ma che il serbo è stato in grado di gestire e superare, vivendo poi annate clamorose come il 2021, quando è arrivato addirittura ad un match dal completare un Grande Slam stagionale. Smith ha condiviso le sue riflessioni sulla capacità di Djokovic di rimanere ai vertici anche oltre i trent’anni avanzati, ma anche sulle difficoltà fisiche che ora ne stanno condizionando il rendimento. A suo dire, giocare fin troppo poco è controproducente.
“La longevità a questo livello straordinario di Djokovic è una testimonianza sia della sua genetica che della sua professionalità, oltre che dell’enorme investimento che ha fatto nel proprio corpo e nella propria carriera,” afferma Smith. “Ma se lo confrontiamo con altri atleti dello stesso sport e della stessa fascia d’età, con lo stesso livello di esposizione e di intensità, credo che Djokovic sia davvero un unicum, una sorta di ‘unicorno’. Ovviamente, alla sua età e con la quantità di partite che gioca, l’usura fisica si fa sentire… ha avuto un problema al bicipite femorale che lo ha costretto al ritiro in semifinale agli Australian Open di quest’anno, un infortunio all’inguine a Wimbledon e una lesione al menisco al Roland Garros dello scorso anno.
Tutti questi acciacchi sono chiari segnali di logoramento. E se pensiamo al decorso della sua carriera, è stato incredibilmente sano per anni, ma ora si trova a dover affrontare quattro o cinque infortuni consecutivi. Spesso, quando un atleta si ferma per recuperare, il carico di allenamento diminuisce; poi, al rientro, si pretende che torni immediatamente al livello competitivo di prima, e questo può innescare una sequenza di infortuni a catena“.
Alla domanda se giocare di più al di fuori degli Slam possa aiutare Djokovic, Smith ha risposto: “Assolutamente sì. Spesso vediamo che la gestione dei giocatori porta a farli riposare di più, ma a volte questo approccio si ritorce contro, perché oggi il livello di intensità e di fisicità nello sport — in qualunque disciplina — è cresciuto enormemente. E allora si pensa: ‘Ha tanti chilometri nelle gambe, può permettersi di giocare meno e tornare subito competitivo’. Ma in realtà ci si aspetta sempre che mantenga la stessa intensità, che riesca a ripetersi giorno dopo giorno, soprattutto nei grandi tornei, e questo richiede un’enorme tenuta fisica. Se non hai quella resilienza costruita e mantenuta attraverso l’allenamento costante a quel livello, può diventare un grosso problema. Quindi sì, credo che a volte troppo riposo e troppa fase di recupero possano avere un effetto negativo. Si cerca sempre quell’equilibrio perfetto tra stimolare abbastanza il corpo da mantenerlo sano, senza però sovraccaricarlo e rischiare di romperlo — ma anche evitando di ‘sottoallenarlo’, lasciandolo più vulnerabile agli infortuni.”
Un punto di vista autorevole che consiglia a Djokovic di giocare un po’ di più per mantenere il colpo allenato e pronto allo sforzo della partita, che è diverso rispetto a quello dell’allenamento. Vedremo se “Nole” deciderà di giocare le ATP Finals e come affronterà il 2026. Lui continua ad affermare di credere nelle proprie possibilità di vincere ancora uno Slam, nonostante Alcaraz e Sinner abbiano fatto piazza pulita da due anni.
Marco Mazzoni
TAG: infortuni, Marco Mazzoni, Novak Djokovic, Stephen Smith
2 commenti
“…giocare un po’ di più…”: lo penso anch’io da quasi 2 anni, cioè da inizio 2024.
Invece da allora Djokovic si allena poco e gioca ancora meno, perchè intendiamoci, in molti tornei che ufficialmente ha giocato in realtà vi ha solo fatto presenza, svogliato e distratto (Doha, Dubai, Indian Wells, Montecarlo, Madrid, Roma, Ginevra, ecc.)
Penso che Novak continui a giocare proprio per questo. Curiosità, conoscenza e passione. Vuole continuamente scoprirsi come atleta e come uomo.