Andrea Gaudenzi parla a Torino: “Masters 1000 lunghi? Non esiste un formato perfetto. Abbiamo avviato un progetto e serve tempo per valutarne gli effetti. Poi faremo una revisione: se funziona, continuiamo; se no, si torna indietro”
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Il Presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi ha tenuto una lunga ed interessante press conference alle ATP Finals di Torino. Sono stati affrontati molti temi, in particolare quelli più “spinosi”: calendario, Masters 1000 allungati, futuro dei tornei 250, il difficile equilibrio tra impegni dei giocatori, compensi e riposo. Ha parlato davvero molto… dando risposte dettagliate che non sono novità per chi è addentro alle questioni e segue il tennis tutti i giorni, ma assai risolutive per coloro che invece sono poco avvezzi alla politica sportiva e ai suoi risvolti economici. Per questo riportiamo quasi integramente le risposte di Gaudenzi, in modo che gli appassionati possano farsi una idea dello status quo e anche delle richieste e lamentele dei giocatori. È indubbio che Andrea parli da ex giocatore ma soprattutto da manager; il suo è stato un intervento puntuale, equilibrato, con dettagli, e nel quale ha ribadito il suo concetto di fondo: per migliorare la situazione attuale sarebbe necessaria una governance più unitaria, ma riuscire ad accontentare tutti è quasi impossibile perché le esigenze sono molto diverse. Gaudenzi ha anche sottolineato come prima di cambiare qualcosa è indispensabile tastare il polso del pubblico: alla fine lo scopo del tutto è avere seguito e appassionare la gente, “fare un cambiamento perché piace a me o a qualcuno non funziona…” ha detto a fine press conference, a microfoni spenti. Per venire incontro alle richieste dei top players, che non amano i M1000 su 12 giorni, si sta anche valutando i dare due “bye” alle primissime teste di serie, in modo da consentire loro di giocare di fatto una sola settimana. È una delle tante cose di cui si parla, ma ancora si è lontani da qualsiasi decisione in merito. Queste le risposte di Gaudenzi.
“Finals 2026? Direi che è un’edizione davvero straordinaria. Abbiamo iniziato in pieno periodo COVID, e non è stato facile, ma di anno in anno l’evento è cresciuto e migliorato costantemente. Complimenti alla FITP, che ha fatto un lavoro eccezionale. Dopo Londra c’era un po’ di apprensione, perché Londra era stata un’edizione fantastica. Credo che siamo riusciti a mantenere quel livello e persino a superare le aspettative iniziali. Quest’anno, poi, è particolarmente emozionante perché c’è in palio anche il numero 1 del mondo. Potrebbe decidersi oggi, oppure no, ma è davvero entusiasmante vedere i migliori giocatori del pianeta lottare per chiudere la stagione al vertice. È la situazione ideale: uno spettacolo eccezionale per il pubblico e per tutti gli appassionati che seguono il gran finale”.
Si è parlato molto del calendario ATP e del contenuto della stagione, in particolare del futuro dei tornei di livello inferiore, come i Challenger o gli ATP 250. Qual è, secondo te, il futuro della categoria 250, considerando anche la cancellazione delle settimane di Metz e Atene?
“Questa risposta potrebbe durare un’ora, ma cercherò di essere sintetico (sorride). Parto da una considerazione ovvia, anche se spesso la dimentichiamo: il tennis è uno sport estremamente difficile da pianificare, probabilmente il più difficile, per una ragione semplice — è a eliminazione diretta. Pensate a un torneo dello Slam o a un evento da 12 giorni: un giocatore può giocare una sola partita o arrivare a sette in meno di due settimane. In altri sport, come il golf, i primi 60 giocatori disputano sempre 72 buche in quattro giorni. Nel tennis, invece, hai un insieme di giocatori — diciamo i primi 100 — in cui si va dai top come Carlos e Jannik, che giocano circa 80 partite in 18-20 tornei, fino a quelli più indietro in classifica, che disputano 30-35 tornei ma molte meno partite. In teoria esiste un solo calendario, ma in realtà ne abbiamo quattro o cinque diversi dentro lo stesso anno. Io ero uno di quei giocatori che per lo più perdevano al primo o al secondo turno (sorride), e bisogna ricordare che metà dei giocatori escono al primo turno e il 75% entro il secondo. Per la maggior parte, un torneo dura due o quattro giorni; per altri, invece, molto di più. Questo rende bene l’idea della complessità.
Ci sono giocatori che si lamentano perché si gioca troppo, altri che vorrebbero più tornei perché hanno bisogno di partite. Ed è proprio per questo che esistono i diversi livelli: Slam, Masters 1000, 500 e 250. Cerchiamo di trovare un equilibrio che funzioni per tutte le fasce di giocatori, inclusi i Challenger, che restano fondamentali per la crescita dei futuri campioni. Venendo alla tua domanda sui 250, negli ultimi anni la nostra strategia è stata quella di ridurne il numero: siamo passati da 38 a circa 29 (non ricordo esattamente la cifra). L’obiettivo, guardando al 2028, quando entrerà nel calendario il nuovo Masters in Arabia Saudita, è continuare a ridurre ulteriormente il numero di 250. I tornei 250 restano molto importanti, così come i Challenger e i 500 — ogni categoria ha il suo ruolo — ma ne avevamo semplicemente troppi, e il calendario diventava ingestibile. Ci sono due problemi: l’anno ha 52 settimane, e questo non lo cambiamo; inoltre i giocatori hanno bisogno di una vera off-season, di un periodo di pausa più lungo. Ora è troppo breve: serve tempo per staccare, rigenerarsi, allenarsi e poi ripartire con la stagione australiana. A complicare le cose c’è il fatto che nel tennis abbiamo sette entità coinvolte: i quattro Slam, ciascuno con la propria autonomia e date, l’ITF con la Coppa Davis (che negli ultimi anni ha cambiato spesso formato), e poi ATP e WTA.
Dal punto di vista dei giocatori capisco bene le difficoltà: devono convivere con decisioni prese da sette “board” diversi. Ed è proprio per questo che nel mio piano One Vision propongo di unificare la governance del tennis: avere un’unica direzione, un unico tavolo decisionale, per costruire un calendario più armonico e sostenibile. La nostra strategia principale rimane quella di valorizzare il prodotto “premium”, cioè i Masters 1000. Il motivo è semplice: dobbiamo offrire ai fan il miglior spettacolo possibile, e questo avviene quando i migliori giocatori si affrontano nei migliori tornei. Quei momenti — gli Slam, i Masters e le Finals — sono il cuore della stagione. I tornei 500 e 250 restano cruciali per i giocatori che escono presto dagli eventi maggiori e hanno bisogno di giocare, di mantenere ritmo e forma. È una situazione complessa. Capisco, ad esempio, che per giocatori come Carlos o Jannik, che arrivano in fondo praticamente a ogni Slam e Masters, sia difficile completare un calendario pieno. Un’altra complicazione è che il nostro sistema è aperto: i giocatori sono professionisti indipendenti. Noi possiamo definire il calendario, ma sono loro a scegliere dove giocare. Possono preferire un 250 a un 500, o un 500 a un Masters. Abbiamo regole e incentivi legati al ranking per orientare le scelte, ma alla fine la decisione spetta a loro. E spesso — attratti da ingaggi — giocano anche tornei di categoria inferiore o esibizioni fuori dal circuito. È un problema complesso, senza una soluzione unica valida per tutti. Ma sono convinto che, se tutti — Slam, ATP, WTA, ITF — si sedessero allo stesso tavolo, con un’unica governance e un’unica visione, potremmo davvero fare un lavoro migliore di quello che stiamo facendo oggi. Mi fermo qui, perché so di aver già parlato tanto (sorride).
Quando eri un giocatore, dicevi che ti fermavi spesso al primo, secondo, magari terzo turno. Se fossi ancora un giocatore oggi, come vedresti la riduzione del numero dei tornei 250, che renderebbe un po’ più difficile per te scalare i livelli e arrivare ai 500 o ai 1000? La seconda parte riguarda i tornei stessi: da quanto capisco, non sono entusiasti di dover disputare le finali a metà settimana, preferendo invece concludere al sabato o alla domenica. E infine, i giocatori continuano a lamentarsi dei Masters 1000 estesi a dodici giorni. Jack Draper ha contattato tutti i top 20, e non mi pare che la risposta sia stata molto positiva su questo formato.
“Ci sono molti spunti nella tua domanda. Cercherò di rispondere punto per punto. Il primo riguarda i tornei 250, che ovviamente sono in contraddizione con l’espansione dei Masters. Se allarghi i Masters, non puoi contemporaneamente aumentare i 250. Devi fare una scelta. Durante la mia carriera mi sono sempre considerato un giocatore medio. Non ero tra quelli che arrivavano in fondo ai Masters o agli Slam. Sono stato per la maggior parte del tempo tra il numero 20 e il 50 del mondo, talvolta più in basso. Devo dire che ero piuttosto frustrato dal fatto che, anche quando ero intorno al numero 50 o 55 del ranking, potevo entrare nel tabellone principale solo di due Masters. Negli Slam sì, ma nei Masters dell’epoca solo Indian Wells e Miami avevano il formato attuale. Di fatto, da numero 50 del mondo, non potevi accedere a Monte Carlo, Roma, Madrid e agli altri tornei “premium”. Mi chiedevo: “Se posso entrare nel main draw di uno Slam, perché non posso farlo anche in un Masters?” Il campo di partecipazione era troppo ristretto. Ecco perché ritengo fondamentale l’ampliamento del tabellone a 96 giocatori. In questo modo i top 100 hanno la possibilità di giocare il main draw non solo negli Slam, ma anche in gran parte dei Masters — almeno sette su nove (le eccezioni restano Parigi, Monte Carlo e il futuro Masters in Arabia Saudita). Per quanto riguarda i 250, ammetto che ho commesso molti errori nella mia carriera. Spesso ho giocato tornei 250 sulla terra in Europa la settimana prima dello US Open — come Umago, San Marino e altri — semplicemente perché erano lì nel calendario. Ma col senno di poi, era una scelta sbagliata: se vuoi rendere sul cemento a New York, devi giocare sul cemento in America prima. Con il tempo ho capito che la programmazione è responsabilità del giocatore. Serve disciplina. Alcuni colleghi gestivano il proprio calendario in modo intelligente, senza farsi attirare troppo da “garanzie” (ossia degli ingaggi a parte per giocare, ndr). All’epoca, nei tornei minori, le “garanzie” erano frequenti. Io giocavo spesso in doppio con Thomas Muster, che le aveva sempre, e quindi finivo per seguirlo, anche senza avere un mio compenso (sorride). Ma non credo che un giocatore debba scegliere i tornei in base al denaro garantito. Bisogna giocare per i punti e per i titoli, soprattutto se sei tra i primi 50 o 100 del mondo. Il tennis, però, è un sistema aperto, con mille tentazioni. Ci vuole autocontrollo e consapevolezza delle proprie priorità.
Tornando al numero dei 250: non sarà un problema, perché il nostro piano prevede settimane dedicate per ciascuna categoria. Avremo quattro Slam, dieci Masters, sedici 500 (quindi otto settimane con due tornei in parallelo) e dieci settimane di 250. In totale, 32 settimane di tornei di primo livello. Questo schema copre tutte le fasce della top 100. I migliori giocheranno principalmente Slam, Masters e pochi 500. Quelli di medio ranking parteciperanno a più 500 e 250. E i giocatori più indietro avranno spazio tra 250 e Challenger. È una piramide naturale. Se sei in alto, non dovresti “scendere di categoria”. Un giocatore come Sinner o Alcaraz non ha motivo di giocare i 250: il loro livello è superiore, e il focus dev’essere su Slam e Masters. In nessun altro sport un pilota di Formula 1 può partecipare a una gara di Formula 2: si protegge il valore del top level.
Per quanto riguarda l’espansione dei Masters a 12 giorni, non ho inventato nulla. Indian Wells e Miami esistono in quel formato da 35 anni. Analizzando i dati, era evidente che questi tornei sovraperformavano tutti gli altri. E anche gli Slam, perché sono così forti? Per due motivi: infrastrutture eccezionali e una storia e un brand consolidati. Hanno stadi enormi e durano, di fatto, tre settimane (qualificazioni incluse).
Il tennis è uno sport fortemente dipendente dal ticketing: gli incassi dai biglietti rappresentano oltre il 50-60% dei ricavi, mentre in altri sport il grosso arriva dai diritti media (60-70%). Per varie ragioni — tra cui la frammentazione che citavo prima — i biglietti sono la nostra principale fonte di reddito. Aumentare i giorni di torneo significa più pubblico e più ricavi. Già nel 2025, terzo anno del piano ma primo con i Masters estesi (inclusi Canada e Cincinnati), i risultati economici sono evidenti. I ricavi stanno crescendo sensibilmente. Nel 2024, grazie al nuovo modello, abbiamo distribuito quasi 20 milioni di dollari in profit sharing ai giocatori — contro i 6 milioni dell’anno precedente. È un aumento del 25% rispetto al montepremi base. In totale, i profitti dei Masters si aggirano sui 110 milioni. In pratica: il sistema funziona. È sostenibile e redistribuisce valore non solo ai top player, ma a tutto l’ecosistema, inclusi i giocatori tra il numero 100 e 150 del mondo. So bene che il formato dei 12 giorni non piace a tutti, soprattutto ai top player. Sono loro a restare più a lungo nel torneo e quindi a sentire il peso maggiore. Per gli altri, che escono prima, cambia poco. Forse serve qualche anno in più per stabilizzarsi o, in alternativa, una migliore redistribuzione economica per compensare chi genera più valore. È un tema di equilibrio economico: alcuni giocatori confrontano i guadagni di un’esibizione di un giorno con quelli di un Masters su 12 giorni. Capisco il ragionamento. Detto questo, non credo che esista un formato perfetto. Abbiamo avviato un progetto e serve tempo per valutarne gli effetti. Poi faremo una revisione: se funziona, continuiamo; se no, si torna indietro. Va ricordato che i 12 giorni sono stati possibili solo grazie a un accordo che finalmente ha reso trasparenti i conti dei tornei ai giocatori. Per 35 anni i tennisti non avevano accesso ai dati economici dei tornei. Ora sì: i libri contabili sono aperti e i giocatori sono veri partner economici.
Inoltre, con la nuova aggregazione dei diritti media, tutto il sistema ne beneficerà nel medio-lungo periodo. Chiedo solo un po’ di pazienza: i risultati arriveranno. E anche una gestione più equilibrata del proprio calendario: se un giocatore toglie qualche settimana di esibizioni o tornei minori, il nuovo sistema non diventa un peso, ma un vantaggio.
Le finali infrasettimanali? È una questione complessa. Penso tu ti riferisca soprattutto a Cincinnati e al Canada, giusto? Anche alla Cina, sì, non Shanghai, ma sì, Pechino e Tokyo. Per Cincinnati abbiamo deciso di tornare nel 2026 alla finale di domenica. In Canada, invece, lo spazio tra Wimbledon e lo US Open è così stretto che non c’era alternativa: comprimendo il calendario in tre settimane, la finale finisce inevitabilmente di mercoledì. Non è ideale, lo riconosco. Detto questo, anche in altri sport il “sacro Graal” della finale domenicale non è più una regola assoluta. Il calcio gioca spesso al lunedì sera, la NFL al giovedì, la Champions League al mercoledì. Viviamo in un mondo più flessibile, anche dal punto di vista lavorativo e delle abitudini del pubblico. Credo che in futuro ci sarà più libertà anche nel modo di programmare gli eventi sportivi. Quando pianifichiamo il calendario, dobbiamo pensare anche ai tifosi e alla concorrenza: se la nostra finale coincide con un Gran Premio di Formula 1, forse non è la scelta migliore. È una questione di strategia, di pubblico globale e di fusi orari: quello che funziona negli Stati Uniti può non funzionare in Europa. La programmazione è un puzzle complicatissimo. Ma il principio deve essere uno: mente aperta e capacità di adattarsi. Ad esempio, ora che Cincinnati passerà alla finale domenicale, vedremo la differenza in termini di pubblico, ascolti e coinvolgimento. E poi decideremo di conseguenza.
C’è qualche indicazione sul fatto che il torneo resterà a Torino fino al 2030?
“Non ancora. Non abbiamo ancora deciso nulla oltre al prossimo anno. È una conversazione che dovremo avere con la FITP, probabilmente all’inizio del prossimo anno. Sì, per ora non c’è nessuna decisione definitiva. Siamo davvero felici qui, questo è ovviamente un elemento importante da considerare. Ma non abbiamo ancora preso una decisione finale. Ci siamo accordati per sederci e discutere la questione dopo questo evento, e affrontarla seriamente a inizio del prossimo anno. Il 2026 è già stato annunciato: sarà ancora a Torino. Stiamo parlando del 2027, 2028, 2029 e 2030.
Ha in mente un numero ideale di settimane per la off-season? Se ne parla da tanto. Qual è, secondo lei, la durata giusta perché un giocatore possa staccare la racchetta, stare con la famiglia, gli amici, prendersi una pausa? Sei settimane? Un mese?
È una bella domanda. Mentre rispondo, cercherò anche di spiegare un po’ la complessità del calendario. Non credo ci sia un numero esatto. Alcuni giocatori dicono sei, altri sette, altri otto settimane. Sicuramente un giocatore ha bisogno di una o due settimane di completo riposo, poi una o due settimane per lavorare sul fisico — atletica, palestra — e solo dopo ricominciare a toccare la racchetta. Di certo deve essere più lunga di quanto non sia oggi. Poi la domanda è: per chi? Ai miei tempi, ad esempio, io finivo sostanzialmente a Parigi. Perdevo al primo turno indoor, era tutto molto rapido (sorride). Ho giocato la finale di Coppa Davis una sola volta in carriera: quella è stata l’unica volta in cui ho dovuto aspettare. Altrimenti, giocatori come me erano già in vacanza. Ovviamente ci sono i top player, gli otto qualificati alle Finals, che devono restare in attività più a lungo. Ora con il nuovo formato di Coppa Davis, anche chi perde a Parigi deve aspettare per le Finals e poi ancora per quell’evento. Ho introdotto un concetto di cui ho già parlato: amo profondamente la Coppa Davis. È un evento straordinario. Probabilmente lì ho giocato le migliori partite della mia carriera. È un asset incredibile per il tennis e dovremmo tutti lavorare insieme per farne la vera Coppa del Mondo del tennis. Secondo me, il formato ideale è quello con le sfide in casa e in trasferta. L’atmosfera è unica. Ho giocato una finale a Milano — probabilmente il ricordo più bello della mia carriera — e tante altre in diverse sedi. Vai in paesi dove il circuito non arriva mai. Ho giocato i quarti contro gli Stati Uniti, Agassi e Sampras, a Palermo. Abbiamo giocato a Firenze contro lo Zimbabwe. Le federazioni hanno la possibilità di portare il tennis in città che non l’hanno mai visto. Anche senza i top player, riempi comunque lo stadio e crei un’atmosfera incredibile. Quella, per me, è l’essenza del nostro sport. Il problema, allora, era che si giocava ogni anno e su superfici diverse. Ricordo una Davis contro la Repubblica Ceca a Napoli, su terra: vincemmo, e il martedì successivo ero a Dubai sul cemento. Passare da terra a cemento in due giorni, volare, e poi giocare: non so come, ma quell’anno arrivai in finale a Dubai. È molto impegnativo. Nel mondo ideale, la Davis dovrebbe mantenere il formato casa/trasferta ma disputarsi ogni due anni. Non esiste, che io sappia, una Coppa del Mondo che si giochi ogni anno. Sarebbe meglio per il prodotto, e alleggerirebbe il calendario.
Infine, c’è il tema del gap tra Parigi e le Finals. Ed è lì che entra in gioco l’inizio di stagione. Correggetemi se sbaglio, ma credo che Novak abbia vinto sette volte l’Australian Open senza giocare tornei di preparazione. Jannik lo ha vinto senza giocare nulla prima. Per quei giocatori, a quel livello, si possono “guadagnare” un paio di settimane in più a gennaio. Torno al concetto di flessibilità: il giocatore può costruirsi il proprio equilibrio nel calendario. Non sei obbligato a giocare le prime settimane se non vuoi. Se vai troppo in fondo ai tornei, devi fermarti. Per questo stiamo pensando al 2028 tenendo tutto ciò in considerazione. Credo che i giocatori abbiano bisogno di almeno sette settimane di off-season.
Chiedono a Gaudenzi che ne pensa delle rivendicazioni firmate dai migliori giocatori agli Slam, per condizioni migliori. Se influenza il rapporto tra ATP e il resto dell’ecosistema tennistico.
In generale, torno a parlare di One Vision, il piano che ho presentato nel 2020, quando ho iniziato. Ci sono inevitabilmente delle criticità nel nostro sistema, dovute alla storia e al fatto che abbiamo quattro Slam indipendenti, oltre ad ATP, WTA e ITF. Gli Slam, e voglio sottolinearlo con forza, sono i migliori tornei del nostro sport. Sono un patrimonio straordinario. Rappresentano la vetrina perfetta per il tennis. Li ringrazio enormemente per quello che hanno fatto e continuano a fare. Da giocatore, cresci sognando di partecipare a uno Slam. I due grandi obiettivi sono diventare n.1 e vincere uno Slam — tutto il resto viene dopo. Sono fondamentali. Tuttavia, dal punto di vista dei giocatori, agli Slam manca rappresentanza diretta. Nell’ATP, il 50% della governance è composta da giocatori. Ogni decisione passa attraverso il board dei giocatori, che viene eletto dal Players Council, formato da 10 giocatori che rappresentano il gruppo più ampio. È un sistema molto democratico.
Con gli Slam, invece, parliamo di entità indipendenti. Da un lato è un vantaggio, perché possono muoversi più liberamente; dall’altro, dal punto di vista dei giocatori, manca una voce diretta. Si chiedono: “E la nostra rappresentanza? E la compensazione economica?”. Noi, in ATP, abbiamo una formula trasparente: più valore generi, più valore ottieni. Gli Slam pagano premi altissimi e generano enormi ricavi, e i giocatori chiedono solo una rappresentanza equa e una remunerazione equa. Magari i livelli attuali sono già corretti, ma vogliono sentirsi ascoltati. È una richiesta legittima. L’obiettivo di One Vision è proprio questo: riunire tutti allo stesso tavolo — giocatori, uomini e donne, Slam, Masters, 500 e 250 — perché parliamo allo stesso pubblico, gli appassionati, che seguono l’intera stagione. L’ho detto più volte: oggi è come scrivere un libro in cui ogni capitolo è scritto da un autore diverso e venduto in una libreria diversa. Non è il modo ottimale per raccontare il nostro sport”.
Una domanda anche sulla nuova legge dello sport (del Governo Meloni) potenzialmente può creare problemi per quando riguarda l’organizzazione delle Finals, visto che prevede l’intervento diretto dello Stato, mentre ATP ha firmato un contratto con FITP. Così Gaudenzi: “Abbiamo un contratto con la FITP, c’è un ottimo rapporto e vogliamo continuare con loro. Se dal governo emergono novità e non sono più in condizioni di rispettare il contratto, allora ci potrebbero essere problemi. Ritengo questo, relativamente all’ingresso del governo: bene se volete essere coinvolti nello sport per aiutare a livello di strutture. Il tennis richiede un investimento enorme a livello di impianti che vengono usati poche settimane all’anno. In Arabia Saudita ci sarà un investimento di 2 miliardi per la creazione del nuovo Masters, quindi se non c’è un intervento del governo questo non è sostenibile. In Australia è stato decisivo l’intervento del governo di Victoria per creare tre stadi coperti e oggi l’impianto di Melbourne è eccezionale. Non vogliamo portare l’evento all’estero, siamo felicissimi qua, ma se FITP non riesce a rispettare le clausole allora dovremo sederci al tavolo”.
Da Torino, Marco Mazzoni
TAG: Andrea Gaudenzi, ATP, ATP Finals 2025, FITP, Marco Mazzoni

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Sono 4 anni che straparli di libri, rivelazioni, “a breve vedrete cosa accadrà” e ti chiedo: ma non sei stanco di essere uno zimbello per tutti? Davvero, non te ne rendi conto?
Morale= hanno già investito molti soldi e non possono tornare indietro o non vogliono perché il giochino può funzionare ancora un po’ di anni.
Poi le teste cambieranno e nessuno su ricorderà dei danni che hanno fatto al tennis.
Tutto rigorosamente senza mai chiedere il parere agli atleti.
Abolire Lucky loser, niente bye, tabelloni a 64 pieni di giocatori, massimo 2 wc.
E pedalare…
Qualche giorno fa non ricordo chi ha detto che con un giorno di riposo riesce un pò a recuperare ma giocando tutti i giorni fa fatica, ma è sempre stato così a parte gli Slam e mi sembra la soluzione sempre più giusta. La maggioranza dei tennisti e del pubblico lo preferisce.
@ quarto set (#4522549)
Non tieni conto di troppe cose, ma te ne cito una: i fusi orari. Mettere un 1000 prima dell’AO significa toglierne uno (IW?) all’America e darlo al fuso orario opposto, cioè all’Australia, per poi tornare di nuovo in America con Miami. Ci sarebbe un ammutinamento generale. E così per tutte le altre cose che hai detto, penalità per chi fa esibizioni, Davis obbligatoria ecc.
Ci penserà Novak a riportare il tennis nelle mani dei giocatori…
Aggiungo la sua One Vision vuole continuare a falsare ancora di più tornei M1000 e ranking,con il doppio bye alle tds…
L’unico che dovrebbe ricevere il doppio Bye è lui…
Abile politico Gaudenzi, ma in generale le risposte sono abbastanza convincenti. Io credo che le conseguenze delle riduzione dei 250 potrebbe essere mitigate con questi strumenti:
1. aumento del numero dei CH125, mettendone 2 a settimana, magari in continenti diversi;
2. nella seconda settimana dei Masters (e, perchè no, degli Slam, come peraltro capitava in un non lontano passato) collocare un 250, ovviamente a “walking distance” o quasi. Ciò permetterebbe anche di offrire WC a top 20/30 usciti precocemente dal “major”;
3. inoltre stabilirei una regola stringente, ossia che nei 250 non possano iscriversi più di due top20 e nessun top10: se esiste un divieto per i top50 nei challengers, non vedo perchè non possa applicarsi anche ai tornei immeditamente superiori (lasciando eventualmente la possibilità, come capita per i Ch, di assegnare una WC);
4. infine, e lo dico anche se potrebbe danneggiare qualcuno dei nostri giovani, limiterei a solo i Ch ed eventualmnete alle Q dei 250, l’assegnazioni dei vari “accelerate” a ragazzini promettenti, che non devono però “rubare” il posto a tennisti che di tennis ci campano: il posto devono guadagnarselo.
Tradotto,essendoci dei contratti in essere ed avendo già percepito…
…non si può tornare indietro,per il momento…
A breve tanti spunti di riflessione sulla sua gestione del circuito e soprattutto sulll’altro ben noto…
Fa la revisione anche per i challenger e per chi è fuori dalla ristretta cerchia, ma loro non contano.
Il problema non è la durata dei tornei, una o due settimane.
Il problema è la vicinanza tra uno e l’altro.
Il sistema attuale prevede in generale :
Settimana di pausa
ATP 250
ATP 500
ATP 1000 ( anche uno o due ) da 2 settimane l’uno
ATP 250
Grande Slam da 2 settimane
…
Solo che ATP 1000 due insieme non sono sostenibili.
Abbiamo già visto che uno su due viene saltato dai top 10.
Indian Wells e Miami sono quelli con meno defezioni, perchè ad inizio stagione con giocatori messi meglio fisicamente e con meno infortuni che li tengono fuori che capitano durante l’anno.
…
In Australia non ci sono ATP 1000 o ATP 500 prima dello Slam australiano. Ed è un vantaggio.
Poi ci sono i due ATP 1000 americani in primavera, ma senza torneo dello Slam.
Quindi ci sono i tornei sulla terra battuta europea.
E li sono troppi : ATP 500 2 ATP 1000 più Monte-Carlo misto, il Roland Garros.
Quindi Wimbledon preceduto da nessun 1000.
Andrebbe riformulato invece il tutto così :
AUSTRALIAN OPEN preceduti da un 1000 e da un ATP 500 affiancati da due ATP 250.
Indian Wells e Miami spostati avanti
ROLAND GARROS preceduto solo da Roma ATP 1000, Madrid e Monte-Carlo ATP 500/1000 Barcellona 500 con due ATP 250.
US OPEN preceduti solo da Cincinnati ATP 1000 e Toronto anche li ATP 500/1000.
…
Io metterei invece una Coppa Davis Indoor, obbligatoria per tutti a fine anno, dopo Parigi Indoor, con squadre pure miste.
Agli albori della Coppa Davis c’era l’Austrasia che era praticamente l’Oceania con dentro Neozelandesi e Australiani nella stessa squadra.
Oggi potrebbe vedere Dimitrov giocare con Tsitsipas in Coppa Davis e vincerla pure !
Punti per chi vince : 2000. Come un Grande Slam
Sanzioni a chi gioca le esibizioni. Chi va a giocare la King’s Slam Cup vede tolti dal ranking i primi 5 punteggi migliori.
…
Il Ranking ATP tagliato non ha più senso : i giocatori tanto i tornei importanti li saltano lo stesso ( vedi Sinner a Toronto oppure li giocano toccata e fuga come Alcaraz a Parigi Indoor ).
Farei una classifica speciale per i primi 50 al mondo conteggiabili solo :
4 tornei del Grande Slam, 10 ATP 1000.
Altri tornei non entrano in classifica nemmeno a vincerli.
Fuori dai primi 50 al mondo dell’anno prima classifica senza tagli invece.
Ormai che senso ha su 1000 punti tagli per tutti tra i 30-100 punti. Nessuno viene praticamente penalizzato nel ranking dai tagli.