Livetennis Magazine: la storia dello stadio tennistico più grande del mondo Copertina, Generica

Archeo Tennis: 25 agosto 1997, si gioca il primo match sull’Arthur Ashe Stadium

25/08/2023 16:34 5 commenti
Arthur Ashe Stadium
Arthur Ashe Stadium

25 agosto 1997. Sono passati esattamente 26 anni dall’inaugurazione dello stadio di tennis più grande del mondo, l’Arthur Ashe Stadium, centrale dell’impianto USTA di Flushing Meadows, New York, dove va in scena US Open, quarto e ultimo Slam stagionale. Ben 23mila spettatori, anzi 23.771 posti a sedere per l’esattezza, con 90 suites di lusso, 5 ristoranti e vari servizi. Un gigante che quando lo vedi dalla prima o dall’ultima fila ti lascia a bocca aperta. Alcuni l’hanno ribattezzato “il mostro”, un catino troppo grande per apprezzare davvero dalle ultime file il gioco in campo, con la palla così piccola che praticamente non la vedi. “L’unica opzione è mangiarsi qualcosa e aspettare il replay sui maxi schermi” chiosano perplessi vari spettatori uscendo (magari delusi) dagli ultimi spalti di quest’enorme stadio dedicato al tennis. Peggio ancora quando piove visto che con l’attuale copertura – inaugurata nel 2016, si chiude in soli 7 minuti – il trambusto della pioggia è insostenibile. Ma tant’è. In America tutto è grande, tutto deve esserlo perché deve impressionare e, nel caso di un impianto sportivo, contenere il massimo numero di spettatori, che amano esserci e vivere il momento, il caos, l’odore nauseante di hot dog e quant’altro più che capire davvero le traiettorie imposte dai giocatori in campo. Per quello c’è la tv, si vedrà così il resto del torneo, ma una volta sull’Ashe devi andarci, soprattutto di sera, quando l’atmosfera è a dir poco carica. Elettrica. US Tennis baby, che piaccia o no qua le tradizioni British sono agli antipodi, il gioco è una meravigliosa macchina per lo spettacolo, che va in scena anche in tribuna.

Quel 25 agosto il nuovissimo campo centrale, battezzato in ricordo dell’indimenticabile campione afroamericano, venne inaugurato e messo in funzione, sostituendo il Louis Armstrong Stadium come campo principale degli US Open. Una toccante cerimonia in un omaggio ad Arthur Ashe, alla presenza della sua vedova Jeanne Moutoussamy, fu trasmessa in tv, con la star dell’epoca Whitney Houston che intonò la sua celeberrima “One Moment in Time” davanti a 38 ex campioni del torneo, tra uomini e donne. Quindi si passò finalmente al tennis giocato. L’onore di aprire le danze toccò alla statunitense Chanda Rubin, sconfitta in due set da Tamarine Tanasugarn, prima vincitrice sul campo da tennis con gli spalti più grandi del mondo.

(il video della Houston durante la cerimonia)

Gli US Open si erano trasferiti nel 1978 nel nuovo National Tennis Center della USTA, abbandonando lo storico West Side Tennis Club di Forest Hills, che ospitava il torneo americano dagli anni ’20, impianto ormai superato e piccolo per un evento così importante. Il National Tennis Center all’epoca era uno dei più grandi complessi tennistici del mondo: tanti campi, strutture, e il campo centrale, il Louis Armstrong Stadium, aveva una capienza di 14.000 spettatori. Bello, ma c’era un problema. La leggenda racconta che l’ideatore del progetto vide questa bella area libera sorvolandola con un aereo di linea, diretto all’aeroporto di La Guardia. Bella l’area sì, ma… il continuo passaggio di aerei avrebbe certamente disturbato il gioco, chi progettò il tutto non pensò a questo, tutt’altro che un dettaglio. Iconiche le immagini di Ivan Lendl (dominatore del torneo negli ’80 con una sequela infinita di finali giocate e tre titoli) che aspettava un sacco di tempo prima di servire, attendendo il passaggio del veivolo sopra allo stadio… Si provò a dialogare con l’ente preposto al traffico aereo, riuscendo a strappare un accordo per spostare nella quindicina del torneo le rotte di atterraggio, a meno di condizioni meteo sfavorevoli.

Invece di trovare un’altra sede per ovviare questo problema, la USTA decise di rilanciare rinnovando ulteriormente l’impianto e approvando intorno al 1993 l’idea di costruire un centrale ancor più grande e moderno, visto che l’era d’oro dei campioni di casa (Sampras, Agassi, Courier e via dicendo) aveva incrementato a dismisura le richieste di biglietti. Con la solita efficienza USA nel costruire nuovi impianti, nel giro di tre anni ecco che il nuovo stadio era pronto. Si decide di intitolarlo al grande e sfortunato Ashe, morto nel febbraio 1993 per complicazioni dovute al contagio dell’AIDS provocato da una trasfusione di sangue infetto. Arthur è stato il primo e unico tennista di colore a vincere gli US Open, gli Australian Open e Wimbledon, e primo afroamericano a competere per la squadra di Coppa Davis degli Stati Uniti e poi esserne capitano. Una vera leggenda, rispettato in campo e amato anche per il suo importante impegno per i diritti civili.

L’Arthur Ashe Stadium è costato alla USTA 254 milioni di dollari. È rimasto praticamente immutato fino al 2005, quando il campo divenne blu per migliorare il contrasto della palla in tv, abbandonando quel verde che “tanto” faceva US Open. Nel 2006 venne introdotto il sistema Hawk-Eye per il controllo elettronico del rimbalzo della palla sul campo. Ma la vera grande innovazione fu anche la più grande sfida ingegneristica: dotarlo di un tetto mobile. Il meteo cambia… anche su New York. Le calde e soleggiate giornate di fine estate hanno progressivamente ceduto il passo a forti temporali, per l’incremento degli uragani caraibici, sempre più grandi tanto da lambire spesso l’area della città. Dopo cinque anni consecutivi (2008-2012) segnati da gravi ritardi dovuti alla pioggia con la finale maschile disputata sempre di lunedì, si decise che la costruzione di un tetto retrattile non poteva attendere oltre. Per un costo di 150 milioni di dollari, ecco il tetto dall’edizione 2016, non bellissimo dal punto di vista estetico e con il fastidio di un’acustica pessima in caso di pioggia. Rumore, trambusto assicurato, ma del resto se il tennis non è “Rock ‘n Roll” a NYC, dove dovrebbe esserlo…

Marco Mazzoni


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5 commenti

Sudtyrol (Guest) 26-08-2023 08:48

Faccio parte (certo minoritaria) di quelli che pensano che lo US Open dovrebbe essere riportato su terra verde. Si avrebbero 4 Slam su 4 superfici diverse. Un GS realuzzato in tali condizioni avrebbe certamente più valore di quelli di Laver che, con tutto il rispetto per il campione che era, giocava 3 Slam su 4 sulla superficie preferita (erba).

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Ciupaciupa 25-08-2023 21:27

Scritto da Luca Martin
Bellissimo articolo.
I miei tennisti americani preferiti sono in ordine:
John McEnroe, Jimbo Connors e Chris Evert. Poi Pete Sampras (ma tra quelli un po’ meno vincenti anche Stan Smith e Gene Mayer mi piacevano molto).
Saluti!

Il kid di las vegas ha cambiato il tennis…

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Don Budge fathers (Guest) 25-08-2023 20:46

Scritto da Luca Martin
Bellissimo articolo.
I miei tennisti americani preferiti sono in ordine:
John McEnroe, Jimbo Connors e Chris Evert. Poi Pete Sampras (ma tra quelli un po’ meno vincenti anche Stan Smith e Gene Mayer mi piacevano molto).
Saluti!

Si ,insieme a Vitas Gerulaitis,Arthur Ashe,Roscoe Tanner,Dick Stockton,Peter Fleming,Brian Gottfried….,ed i più recenti Agassi e Jim Courier…

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enzo la barbera (Guest) 25-08-2023 17:39

E’ proprio quello che mi sono domandato spesso. Cosa possono vedere gli spettatori piazzati così in alto? Così come mi sono chiesto se gli spettatori del centro, gremito all’inverosimile, della Piazza di Siena, dove si corre il Palio, riescono a vedere i cavalli! enzo

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Luca Martin 25-08-2023 17:14

Bellissimo articolo.
I miei tennisti americani preferiti sono in ordine:

John McEnroe, Jimbo Connors e Chris Evert. Poi Pete Sampras (ma tra quelli un po’ meno vincenti anche Stan Smith e Gene Mayer mi piacevano molto).
Saluti!

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+1: il capitano